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Interviste

Bimbi digitali. Tra dubbi e "doveri educativi".

Abbiamo intervistato in esclusiva Roberta Franceschetti, ideatrice di Mamamò, primo blog italiano dedicato alle App per bambini. 

Di fronte al dilagare di videogiochi, smartphone e tablet a portata di bambino, le mamme si trovano spesso spiazzate e vengono assalite da dubbi e timori sui potenziali pericoli per i propri figli. Quali sono le paure principali?

La mamma che pensa al digitale pensa a giochi con ritmi frenetici che sovreccitano il bambino, al pericolo della dipendenza, alla passività, alla perdita di creatività. Dalla ricerca #NatiDigitali che abbiamo condotto su un campione di 1000 genitori, in collaborazione con Nati per Leggere è emerso come il digitale venga in generale associato agli aspetti negativi e ai pericoli attribuiti da un lato ai videogiochi, dall’altro al web. Si tratta di pregiudizi spesso derivanti da una conoscenza limitata di tutte le opportunità educative che i contenuti digitali offrono ai bambini. Ci sono app che avvicinano i bambini in modo giocoso alle competenze scolastiche di base, app per disegnare o costruire creative quanto un foglio e una matita tradizionali o una scatola di Lego. Temete che i vostri figli perdano la magia del libro cartaceo? Per mio figlio Toca Hair Salon è altrettanto magico. E non deve certo sostituire il libro di carta.

Arrivano le edu-tate per i bimbi in difficoltà

La "tata" è colei che si occupa dei nostri piccoli quando siamo fuori casa ed è sicuramente tra le figure più difficili da selezionare perché a lei affideremo la cosa più importante che abbiamo. Ci sarà sempre una piccola voce interiore che ci ripeterà fino allo sfinimento “Sarà quella giusta?” In questo campo si sa, le referenze sono fondamentali. Non tutti i genitori però hanno amiche e amici ferrati sull’argomento.

Che fare quindi? A chi chiedere consiglio?

Oggi vi parliamo di un progetto particolare che ha la testa di una scuola e il cuore di una mamma:  la scuola si chiama Openminds, la mamma Claudia Adamo (in foto a destra) e il progetto “Edu-tate”.

Bimbi e bagno al mare: sfatiamo un tabù tutto italiano

C'è chi aspetta due ore, chi si butta subito e chi mangia direttamente in acqua. Ma le nostre mamme avevano davvero ragione? Fare il bagno dopo aver mangiato è realmente pericoloso? Lo abbiamo chiesto a Roberto Albani, pediatra gastroenterologo.

Lei ha affermato che l’Italia è l’unico paese sulle cui spiagge i bambini devono subire un lungo conto alla rovescia prima di potersi finalmente tuffare in acqua e godersi un bagno in mare dopo aver mangiato. Perché?

Tutti coloro che hanno avuto un’esperienza su una spiaggia (o in piscina) in Nord America, in Nord Europa, in Asia ecc. hanno notato che nel resto del mondo nessuno osserva la regola tipica del nostro paese di aspettare un certo intervallo di tempo dopo mangiato per immergersi in mare, in piscina, o anche nella vasca del bagno di casa.

Disostruzione pediatrica: intervista a Marco Squicciarini

Dieci secondi in certi casi valgono anni, sono la vita. La mamma, la nonna che conosce, che sa cosa fare, può fermare il tempo e consentire ai soccorsi avanzati di fare la differenza. Di cosa stiamo parlando? Delle corrette manovre per disostruire le vie aeree. Ogni persona vede solo ciò che conosce, per questo è fondamentale la formazione e l’informazione. Ne parliamo con Marco Squicciarini, medico già referente nazionale per la Croce Rossa Italiana del progetto “manovre di disostruzione pediatrica e rianimazione cardio polmonare nel lattante e nel bambino”, allo stato Formatore Nazionale Rete Scientifica Sanitaria Federazione Italiana Medici Pediatri ( FIMP-EIDOS ) e per lo stesso progetto anche Formatore Nazionale di Istruttori BLSD-PBLSD della SALVAMENTO ACADEMY. 

La sua è la storia di un medico che non si ferma alla professione. Cosa l’ha spinta ad intraprendere questa scelta di vita.

Ho iniziato a fare il volontario in Croce Rossa alla perdita di mia madre , che a soli 60 anni ci ha lasciato. Mi occupavo di trasporti di terminali , ed un giorno sono entrato in una rianimazione ed ho conosciuto una mamma con un figlio in coma per una nocciolina.

E se anche in Italia abolissimo i compiti a casa?

Quali sono i compiti necessari? Quali favoriscono realmente l’apprendimento? E’ giusto passare interi pomeriggi sui libri? Ci si lamenta della scuola ma si è incapaci di pensare un istituto diverso. E se anche in Italia abolissimo i compiti a casa? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Parodi, dirigente scolastico e autore di “Basta compiti. Non è così che si impara” (edizioni Sonda). Nel libro lei afferma che è normale assegnare i compiti a casa, ma non è sensato. Perché?

Gli insegnanti non dicono (e nemmeno scrivono) perché danno i compiti a casa, e non si attrezzano per stabilire se l’impegno sia utile, in che senso lo sia, se sia questo il solo modo o il modo migliore, il più «economico» e razionale per ottenere i risultati (quali?) attesi.

La risposta che più frequentemente ricorre, nelle rare occasioni in cui qualcuno si provi a chiedere spiegazioni in merito, è fin troppo ovvia, quasi superflua: i compiti a casa servono allo studente per imparare a memorizzare i contenuti dell'insegnamento, a riferirli nel corso dell'interrogazione e impiegarli nella prova scritta, a strutturare logicamente le informazioni, a rielaborare i dati trasmessi durante la lezione o la lettura del manuale, per imparare ad applicare le conoscenze acquisite, a dimostrarne la padronanza, insomma per apprendere, costruire, sviluppare, perfezionare il metodo di studio.