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Diario di un Villaggio Ecologico

Diario di un Villaggio Ecologico. Tra mamme, bimbi ed esperienze inedite. Per crescere bisogna cominciare a decrescere. Ecco lo stralcio della nostra reporter ECO in giro per l’Italia.

Il cielo grigio opacizza la bellezza del paesaggio che si intuisce dall’autostrada: abbiamo lasciato la distesa pianeggiante attorno a Ferrara e passato i colli bolognesi, trovandoci improvvisamente nel sinuoso, romantico tratto in cui la strada taglia a metà un tappeto di girasoli. Pochi chilometri più tardi siamo ad Ancaiano, frazione del Comune di Sovicille, in provincia di Siena. Ha da poco cominciato a piovere. Imbocchiamo uno sterrato decisamente sconnesso, che ci conduce al luogo attorno a cui abbiamo fantasticato per settimane. Siamo a Bagnaia, una comune agricola fondata alla fine degli anni ’70 da un gruppo di giovani animati dal bisogno di ricerca di autonomia e libertà , e basata sui principi dell’uguaglianza e della condivisione. In occasione del suo trentacinquesimo compleanno, la comune ospita nel suo immenso spazio il raduno annuale della RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici), pronosticando l’arrivo di settecento persone, tra curiosi e rappresentanti di comunità ed ecovillaggi distribuiti su territorio nazionale ed internazionale.

Il numero delle auto nel parcheggio ci suggerisce le proporzioni dell’evento, ma ancora ignoriamo su che livelli si articolino le attività della quattro giorni. Tenda e sacchi a pelo alla mano, varchiamo le porte di Bagnaia.

“E’ uno spazio non delimitato fisicamente - ci spiegano al Punto Accoglienza - vige il principio del mutuo rispetto del vicinato”. Di fatti, il bosco circostante si estende a perdita d’occhio. Non esiste proprietà privata, e questo vale per la terra e per l’edificio che vi sorge, abitato dai suoi venti membri. Ma vale soprattutto per la gestione del patrimonio economico, a cui ognuno contribuisce attraverso il ricavato di attività esterne o interne alla comune. Ogni decisione è presa dopo lunghe discussioni, quando si raggiunge il consenso unanime, in altre parole un compromesso che mette tutti d'accordo.

La prima volta che ho sentito parlare di ecovillaggi ricordo di essere rimasta stupita dal fatto che esistesse un termine che li definisse, che definisse cioè precisi luoghi la cui struttura portante, ideologicamente e praticamente, fosse quella della sostenibilità, nelle sue più varie declinazioni, assieme al principio di condivisione. Fu Gabriele a parlarmene, socio fondatore ed abitante di un piccolo ecovillaggio in provincia di Firenze, incontrato in stazione a Bologna, mentre entrambi prendevamo un treno per Venezia. Rincontro Gabriele a Bagnaia (forse aspettandomelo un po’), in compagnia della sua splendida bambina, Sole. E insieme a lui, al di là di ogni aspettativa, tanti altri genitori accomunati dall’esigenza di offrire ai propri figli un posto più sano in cui crescere.

Durante i quattro giorni al RIVE seguo, tra gli altri, un seminario di Rebirthing, disciplina che attraverso la respirazione continua permette di recuperare e abbandonare i traumi legati al momento della nascita, e dunque alle modalità e al luogo del parto. Un aspetto interessante è stato il confronto, facilitato dal contesto di RIVE, tra mamme che hanno scelto di far nascere e crescere i propri figli in ecovillaggi e mamme provenienti da realtà urbane, sempre più sensibili al modello di vita sostenibile, utile anche nell’orientamento educativo dei bambini, sin dai primi mesi di vita.

Nadia, da un anno e mezzo mamma di Dimitri, dice di essersi da poco avvicinata alla filosofia degli ecovillaggi, sul piano della condivisione e della collaborazione, riconoscendo la difficoltà di allevare suo figlio da sola, nelle poche ore libere dopo il lavoro. “Io e il mio compagno - spiega - pensiamo di coinvolgere un paio di coppie di amici con figli in un progetto di cohousing, al nostro rientro. Viviamo poco fuori Strasburgo, in un contesto che si presta a questo tipo di soluzione. Non trovo giusto che un figlio cresca da solo tra quattro blocchi di cemento. I bambini, negli ecovillaggi, crescono in connessione con la natura, ne scoprono i meccanismi, e sono da subito educati alla condivisione del proprio spazio domestico. Crescono più autonomi, perché abituati a trascorrere la maggior parte del tempo con bambini come loro, in spazi loro, spazi sicuri, lontano dal controllo ossessivo dei genitori. E di conseguenza, gli adulti hanno più tempo per se stessi, per coltivare un sano rapporto di coppia, per non dimenticare di essere una coppia, come spesso accade nei ritmi frenetici della vita in città”.

Esistono ecovillaggi che offrono nido e asilo, in strutture create ad hoc (immaginatevele come veri e propri asili, solo immersi nel verde e a due passi da casa). A questo proposito, esprimo un'osservazione riguardo possibili difficoltà di inserimento in strutture statali, di bambini che per i primi anni di vita hanno vissuto in un contesto non istituzionale, nel pieno esercizio della propria libertà. Mi risponde Elena, madre di due bambine di sette e dieci anni, nate e cresciute in una comune: “Credo che una volta dato questo tipo di educazione, per i primi anni della loro vita, il grosso sia fatto. I nostri bambini - dice riferendosi anche agli altri cresciuti assieme alle sue figlie - sono svegli e accettano più facilmente certi passaggi, per loro piuttosto traumatici. Sanno di vivere in un posto diverso rispetto ai loro compagni “di città”, ma vivono la cosa come un costruttivo confronto con la diversità. E’ tra i primi principi trasmessi nei contesti di condivisione, quello dell’accettazione della diversità. E’ una premessa fondamentale del vivere insieme, e anche la sua più grossa difficoltà”.

Non sono mamma, ma sono zia. E a Bagnaia, guardando i bambini condividere qualunque cosa, senza prepotenza e con la semplicità di chi non è abituato a pretendere, ho pensato che ogni bambino meriti questa scoperta. E mamme, concedetemi il consiglio: credo di aver capito che oggi per allevare bene il proprio bambino, sia necessario un ritorno alle cose semplici, e alla trasmissione di valori dimenticati. In altre parole, per crescere, è necessario cominciare a decrescere.


Federica Fortunato (in arte NAFE) disegna praticamente da quando ha imparato a tenere una matita in mano. Ha studiato Lingue ed Istituzioni Giuridiche dell'Asia Orientale presso l'Università Ca'Foscari di Venezia, e la stessa curiosità che l'ha portata più volte in Cina, continua a spingerla alla scoperta di nuove, complesse culture. Lo strumento con cui sceglie di catturare le sue impressioni è la macchina fotografica. Da anni appassionata di fotografia, colleziona personali reportage di viaggio, sperimentando (nostalgicamente) anche con macchine analogiche. Si è di recente scoperta sensibile e capace anche nell'approccio più dinamico del video-reportage. Eclettica, anticonformista, inquieta, attraverso la vivace sensibilità artistica che coltiva quotidianamente, ha capito che ciò che le riesce meglio è raccontare storie, attraverso strade che aggirano la tendenza tradizionale alla scrittura, e prediligono l'immagine, sia essa impressa su pellicola, che abbozzata a matita sulle pagine del suo taccuino.