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O i figli o il lavoro. Una storia di maternità negata.

In Italia la gravidanza è ancora un lusso che non tutte le donne si possono permettere. Di lavoro (negato) e mamme  se ne parla poco. È una guerra silenziosa che anno dopo anno miete vittime. Un conflitto che ha il solo scopo di rimuovere l’idea della maternità stessa come diritto individuale e come funzione sociale, alla stregua di una malattia da debellare.  In Italia, infatti, quasi una donna su quattro non riesce a conservare il proprio impiego dopo la maternità.  Oggi vi raccontiamo la storia dell’ennesima maternità negata.  Protagonista è Lucia Sollevanti, 30 anni, mamma, moglie ed estetista di Bastia Umbra. Ecco la nota che ci ha inviato ieri sera.

 "Mi chiamo Sollevanti Lucia, ho 30 anni e da otto mesi sono incinta. La sottoscritta è una dipendente (estetista) di una grande struttura di Bastia Umbra (Perugia), con palestra e centro benessere, attualmente in maternità anticipata a seguito di ripetute minacce d’aborto. L’azienda in questione, pur non essendo in crisi, si rifiuta dallo scorso mese di giugno di provvedere al pagamento dell’indennità a me spettante, nonostante l’Asl abbia rilasciato tutte le autorizzazioni e l’Inps stia autorizzando all’azienda  i pagamenti mese per mese. Al contempo, rimango in attesa di diversi stipendi arretrati del periodo pre-maternità oltre alle buste paga degli ultimi 10 mesi, che mi sono state negate. La totale mancanza di un sussidio economico da così tanto tempo mi sta causando gravissime difficoltà come si può ben immaginare; ma non è il male peggiore, perché per mesi ho dovuto subire un pesante e infame trattamento da parte dei due titolari della palestra, iniziato da quando a marzo 2013 ho loro annunciato che mi sarei sposata il 4 maggio. Da quel momento sono iniziate minacce più o meno velate, fino a quando al rientro dal congedo matrimoniale mi è stato impedito di tornare al lavoro perché a detta loro le persone sposate non avrebbero dovuto lavorare li. Ho quindi comunicato ai miei titolari di essere incinta, venendo di contro diffamata addirittura con accuse di prostituzione sul luogo di lavoro e con minacce ripetute di contattare mio marito per raccontargli tali presunti episodi; inoltre, alle tante clienti della struttura che ero solita servire io, e che non vedendomi più al lavoro chiedevano informazioni, è stato riferito nell’ordine prima che mi prostituivo a pagamento, poi che ero in ferie e poi che mi ero licenziata. Tutto ciò è ovviamente falso, e oltre non posso andare perché al momento sussistono delle indagini di natura penale. E’ stato anche forzato l’armadietto nel quale custodivo degli effetti personali sul posto di lavoro, alcuni con un grande valore affettivo per me, e tutto il contenuto è stato buttato nella spazzatura. Anche su questo non posso essere più dettagliata a causa di ulteriori indagini in corso per furto. Troppo ancora ci sarebbe da dire sui numerosi illeciti di questa società, comprensivi di evasione fiscale, lavoro nero,  mobbing, stipendi da fame (meno di tre euro all’ora), turni lavorativi non inferiori alle dodici ore continuative,  pesantissime discriminazioni di genere e diffamazioni che da anni vengono messe in atto verso i dipendenti. Preciso di aver lavorato completamente in nero nella struttura da maggio 2010 a marzo 2012, quando dopo mie costanti sollecitazioni mi è stata proposta come unica alternativa al nero un contratto di apprendistato part-time, che ho dovuto per forza firmare pur non potendolo fare in quanto in possesso di qualifica europea di terzo livello. 

Ad oggi la società in questione non si è mai degnata di rispondermi; non è stata data da parte loro alcuna risposta nemmeno al legale che mi rappresenta e soprattutto alla Consigliera di Parità della Provincia di Perugia, alla quale mi sono rivolta a causa della mia situazione disperata. Sono passati più di 6 mesi e rimango in attesa di avere ciò che mi spetta di diritto, con una creatura in grembo alla quale vorrei insegnare che qualcosa in questo paese ancora funziona. Non posso capacitarmi che nonostante tale società vanti numerose vertenze sindacali e questioni giudiziarie in negativo, possano ancora essere aperti organizzando anche eventi di risonanza ricavando profitti sulla pelle degli altri.  Non posso accettare che nonostante tutto devo ritrovarmi uno dei due titolari spesso intervistato sulle tv locali in quanto presidente di una squadra di calcio del posto. Come me la pensano tanti ex colleghi cacciati a malo modo nel corso degli anni e che ancora sono in attesa di riconoscimenti economici e contributivi, e anche tanti che lavorano all’interno e che non hanno il coraggio di abbandonare perché quando entri li dentro tutto quello che c’è fuori sembra irreale, invece al di fuori c’è un mondo anzi IL MONDO!!!  Io non posso più aspettare, sono stremata e non riesco più a sentirmi dire che devo avere pazienza; vi chiedo di darmi una mano diffondendo la notizia perché altre persone un domani non debbano passare i guai che ho passato, e che sto passando io. Ho sempre lavorato almeno 12 ore al giorno, non vedo l’ora di crescere la mia bambina e di tornare al lavoro – non in quel luogo – ma non riesco a fare finta di niente, a non pensare al fatto che la mia maternità sia stata messa gravemente a rischio; non posso non pensare a cosa sarebbe potuto succedere se mi avessero fatto perdere l’occasione di diventare madre. La giustizia, seppur lenta, farà il suo corso. Quello che cerco ora è altro, è far conoscere una situazione limite dove chi si sposa o fa figli viene automaticamente istigato a licenziarsi, e se non vuole, è messo in condizione di farlo con minacce e calunnie. Di tutto quello che ho raccontato posseggo prove documentali che ho già consegnato alle competenti autorità. Io non mi arrendo, vado avanti fin quando non avrò giustizia."